Ode a Django Unchained

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L’attesa era forte, molto forte, per l’uscita del nuovo film di Quentin Tarantino, Django Unchained, suo primo cimento da regista nel genere western. Da non dimenticare, però, la sua partecipazione come attore nel gustoso visionario Sukiyaki Western Django di Takashi Miike.

Gli aggettivi e le definizioni dedicate al nuovo film di QiuTi, peraltro, si sono susseguite in un crescendo rossiniano vorticoso, come sempre accade al regista del Tennessee. Soprattutto i fan sono stati in fibrillazione nell’aspettativa di cosa avrebbe inventato QiuTi alle prese con il razzismo del profondo Sud di fine Ottocento, dopo essersi già preso la briga di reinventare la Storia della II Guerra, arrivando a rinchiudere i pezzi da novanta del Reich, con Adolfo in testa, in un cinema per dargli fuoco. In Bastardi senza Gloria non è stato il Jim Bowie knife nelle mani di Brad Pitt alias Raine a fare giustizia, ma la spietata esecuzione voluta dall’esile biondina ebrea nella sua implacabile sete di vendetta. Lo stesso tema si ripete in Django Unchained, dove uno schiavo nero, non appena riacquisita la libertà, corre a salvare la bella moglie, lasciando dietro di sé una scia infinita di cadaveri, perpetrando così il senso della vendetta senza tregua, fino al rogo finale. Tarantino, è risaputo, nasce cinefilo compulsivo, divora pellicole, assimila forme e modi di cinematografare. Ama il cinema italiano forse ancora più di quanto lui stesso ammetta con devozione. Non ha mai nascosto l’ammirazione per gli spaghetti western –e meglio sarebbe chiamarli ‘macaroni western’, come li hanno ribattezzati gli americani. Così Tarantino rivisita il personaggio creato da Sergio Corbucci nel 1965 e interpretato da Franco Nero, trasformandolo a modo suo, in un implacabile nero ribelle. Il riguardoso omaggio al regista italiano inizia già dai titoli di testa, con la canzone, Ode to Django, scritta da Luis Bacalov e, cantata a suo tempo da Rocky Roberts.

Come tutti i fan di Tarantino, anche durante la visione di Django Unchained si può andare alla caccia delle citazioni cinefile, da sempre quasi un puntiglio del regista. Se si visita il sito di IMdB si può scoprire, per esempio, che in Pulp Fiction ne sono state contate ben 92. Ma sbagliato sarebbe imprigionare il regista che ha reinventato il pulp, nel citazionismo. Tarantino ha maturato dal 1992 ad oggi, nei suoi 10 film da regista, una sua propria originale autentica espressione estetica, confermando, tra l’altro, una dedizione totale alla pellicola da 35 mm, disdegnando fermamente le riprese in digitale, in un orgoglioso andare controtendenza rispetto al far cinema contemporaneo.

Così arriva, finalmente, Django Unchained e il film ottiene 5 nomination all’Oscar e nel suo primo week end di uscita nelle sale italiane supera anche gli incassi strepitosi di Unglorious Basterds, andando oltre i tre milioni di euro. Certo buona parte ha avuto la campagna promozionale che ha martellato il pubblico per oltre un anno, ma non dimentichiamo che stiamo parlando di un grande regista e di un film assai godibile sotto ogni aspetto, visivamente ineccepibile e straordinariamente compatto.

Un po’ ridicolo si è dimostrato Spike Lee nel criticare decisamente in negativo Django, senza nemmeno averlo visto. Probabilmente si ritiene l’unico titolato a potere affrontare temi legati al razzismo. Il Django di Tarantino è anche un manifesto contro l’ottusità xenofoba, denso di humour e oltre modo graffiante. Imperdibile -e spassosa- è la sequenza che precede la carica a cavallo di  una ventina di adepti del Ku Klux Klan.

Django è violento, senza dubbio. Ma la visione di tanto dolore si può pure ritenere elegantemente sublimata da una sola eccellente inquadratura, quando del sangue schizza proprio sui fiori candidi di un campo di cotone, assurto a icona simbolo di un tempo, ahimè, mai concluso. Il razzismo esiste, ovunque. Muta nei modi e nelle forme, ma ognuno ne è partecipe in qualche misura. Negarlo sarebbe solo ipocrisia.

Grande merito hanno tutti gli attori di Tarantino, in primis Christoph Waltz, nel ruolo del mentore di Django, ed è già candidato all’Oscar come migliore attore non protagonista.

Sono stati criticati da qualcuno i dialoghi, giudicati troppo lunghi e serrati tra Jamie Foxx, uno stupendo Django, e il cattivo di turno, uno strepitoso Leonardo Di Caprio (Calvin Candie). La lunga sequenza della cena che anticipa lo scontro è un compendio di perfezione recitativa. Ma come si può denigrare i dialoghi raffinati del film? Sono il sale di questa sceneggiatura e alcune delle battute di Django vanno ad arricchire il lungo elenco di frasi culto del cinema di Tarantino.

Non si può non menzionare Samuel L. Jackson nel ruolo del negro aguzzino, brutto e cattivo. Ha la misura di un personaggio shakeaspiriano, perfetti sono il personaggio e l’interprete.

Una chicca è la presenza dello stesso Franco Nero in un cameo delizioso, per rendere omaggio al primo Django di Corbucci, quasi un passaggio di consegne.

Infine ci pensa Ennio Morricone con la sua canzone ‘Ancora Qui’, affidata alla voce di Elisa, a riportarci all’orecchio –e al cuore- quei tanti registi meravigliosi che hanno saputo, taluni loro malgrado, dare lustro al nostro cinema. Tarantino li ricorda e li ammira tutti, a partire dal grandissimo, unico, inimitabile Sergio Leone, fino ai tanti nomi che non si dovrebbero dimenticare, i Mario Bava, Sergio Corbucci, Sergio Sollima, Fernando Di Leo, Lucio Fulci, fino a quell’Enzo Castellari autore di Quel Maledetto Treno Blindato da cui Tarantino ha tratto spunto per i suoi Basterds. D’altra parte vale ricordare come QT ami rammentare orgogliosamente che lui non è mai andato a scuola di cinema, lui ha visto il cinema. E noi amiamo seguirlo in sala.

Dario Arpaio.

1 commento su “Ode a Django Unchained”
  1. Giuseppe Montesano ha detto:

    ciao Dario, sono andato al cinema per vederlo. Sono un amante del genere western ed era da molto che non vedevo un western così bello: è semplicemente un capolavoro. Recitazione ottima da parte di tutti (Christoph Waltz su tutti, un grandissimo) con una sceneggiatura ben scritta ma Tarantino continua ad essere il numero 1 per la musica, perfetta sotto ogni punto di vista in ogni situazione (ottima elisa e un mito johnny cash). Quindi il mio giudizio per il film è 9,5 su 10.
    Nel corso del film (anche se in poche occasioni) tarantino si perde in alcune scene dove mi sono detto “questo pezzo poteva evitarselo non centra niente”oppure “troppo una cavolata” (ad esempio quando django convince lo stesso tarantino a liberarlo, per i miei gusti i motivi sono troppo banali) questi momenti fanno calare in alcuni momenti il valore del film, ma in ogni modo sono pochi in un film della durata di quasi 3 ore
    ero indeciso se andare a vedere cloud atlas (forse andrò comunque più avanti) ma è prevalso il western, uscendo dalla sala la scelta è stata azzeccata. Giuseppe


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