Spielberg con Lincoln verso l’Oscar

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Steven Spielberg è uno dei più grandi tycoon di Hollywood, oltre a essere un grande e geniale cineasta. Ogni suo film diventa subito un prodotto di successo sul mercato. Ha collezionato un numero esagerato di premi, tutti strameritati. Si potrebbe affermare che Spielberg rappresenti la perfetta equazione tra arte e mercato. Tant’è, ancora una volta, il suo ultimo film, Lincon, è lanciato in corsa verso la ormai prossima notte degli Oscar forte delle nomination per il Miglior Film, Regia, Attore Protagonista, Sceneggiatura non originale, Attore e Attrice non protagonisti, Fotografia,  Montaggio, Colonna Sonora, Scenografia, Costumi e Mixaggio.

Certamente Lincoln raccoglierà premi. Decisamente quello che genera meno dubbi andrebbe a Daniel Day Lewis, come Miglior Attore protagonista. E’ davvero un interprete intensamente straordinario nei panni del sedicesimo presidente degli Stati Uniti, quello più amato sia dai repubblicani che dai democratici, assurto a icona del potere che serve il popolo sovrano. Il suo Lincoln è un ritratto accorato, forte e vigoroso, curato in ogni minimo dettaglio e per chi avesse la ventura di vedere il film in lingua originale, ne apprezzerebbe anche l’interpretazione dell’accento americano, non del tutto immediato per lui inglese. Daniel è figlio di un poeta e di un’attrice di teatro. Nelle vene gli scorre sangue irlandese, polacco e lettone e la sua carriera inizia proprio a teatro, grande palestra e trampolino ideale di ogni grande attore. Di Oscar ne ha già vinti due, uno per Il mio oiede sinistro (2000) e l’altro per Il petroliere (2008) e sta volando verso il terzo, oltre ai tanti Golden Globe già ottenuti, Lincoln compreso.

Spielberg lo ha scelto, anche se, inizialmente, la parte era stata destinata a Liam Neeson, e, alla prova dei fatti, il regista non ha sbagliato il colpo. In ogni sua regia esprime anche e sempre qualcosa di nuovo e di diverso rispetto alle precedenti, nel taglio e nell’impostazione, senza peraltro perdere traccia di ciò che è stato. Lincoln non fa eccezione, anche se meno azione e tantissima parola sono le caratteristiche che ci fanno conoscere, emozionandoci, le intense vicende che portarono il Congresso degli Stati Uniti a sancire l’abolizione della schiavitù grazie all’ostinazione del suo presidente. Il film è confezionato per vincere e, tanto per non sbagliarsi, strizza anche l’occhio al grande Salvate il soldato Ryan, almeno nelle – poche – forti scene di guerra iniziali, che ricordano quelle memorabili dello sbarco in Normandia. Spielberg, lanciatosi in un’impresa ardua e rischiosa, riesce a raccontare senza enfasi gli ultimi quattro mesi di Lincoln, esaltando il personaggio, l’uomo, a discapito dell’azione, puntando tutto sull’espressione della sagacia politica, sulla grande, fortissima volontà di unire un popolo diviso in una guerra fratricida senza precedenti nella Storia. Spielberg offre così, a suo modo, anche un grande spunto di riflessione sul significato stesso della politica, che risulta perfetta soprattutto per tutti coloro i quali sfruttano meschinamente la candidatura per fini personali.

Il Lincoln di Steven Spielberg è un gigante che svetta solenne sui suoi avversari, ma che esprime pure fragilità e sentimento nella vita privata.

Il cast, neanche a dirlo, è eccellente, tanto da far meritare la candidatura nella categoria migliori attori non protagonisti a Tommy Lee Jones e a Sally Field nei loro rispettivi ruoli di appassionato radicale e moglie del presidente. Davvero un en plein. Ampiamente collaudata in  precedenza anche la scelta della musica di John Williams, della fotografia di Janusz Kaminski. Tutti fedeli collaboratori di Steven Spielberg, nato per essere un regista da Oscar.

Dario Arpaio


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