La Recensione di Dario Arpaio: Un Piccione seduto sul Ramo

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ASe ne sta pigramente appollaiato su di un ramo il piccione svedese del settantenne regista Roy Andersson. Da lì riflette con lo sguardo fisso sull’esistenza dei suoi diafani personaggi con la faccia coperta di biacca che sopravvivono a loro stessi nelle stanze colorate di ocra pallido. Con il film Un piccione seduto sul ramo riflette sull’esistenza, Andersson conclude la sua trilogia sulle –esigue- possibilità dell’essere umano di vivere consapevolmente felice. Dopo la commedia delle Canzoni del secondo piano (2000), con il quale si è aggiudicato il Premio della Giuria a Cannes, ha proseguito con i sogni di You, the living (2007), vincitore a sua volta del Nordic Council Film Prize, per poi essere insignito del Leone d’Oro a Venezia nel 2014 presentando i 39 quadri della sua ultima fatica per la quale ha impiegato 4 anni di lavorazione.

Il film inizia con 3 quadri sulla morte che tutti ci coglie, senza preavviso, grottescamente. Andersson ci offre il suo sorriso amarissimo, cinicamente divertito, senza essere sprezzante, semmai rassegnato. Si pone di fronte alla fine della vita in un atteggiamento ieratico. Che vale affannarsi se poi la morte si prende gioco della nostre debolezze? E via così di quadro in quadro seguendo poi una coppia di malaccorti venditori, goffi quanto teneri clown Baptiste, senza romanticismo. Così come senza successo tentano di vendere i loro grotteschi scherzi di carnevale, demodè e tristi, alternando i loro piccoli battibecchi nelle stanze grigie di un dormitorio ai vani tentativi di acquisire clienti. Eppure desiderano solo portare un sorriso!

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E’ poi la volta di un passo indietro negli anni della guerra, nel tempo della taverna di Lotte la zoppa, che vende grappini a cinquanta centesimi per poi omaggiarli in cambio di un bacio ai soldati in licenza che, sulle note di Glory Glory Alleluja, esprimono un mesto disagio. Andersson gioca con i suoi personaggi, ce li mostra indifesi, li inquadra in lunghi piani sequenza che sembrano davvero usciti dai dipinti di Edward Hopper, in tutta la desolata solitudine dell’essere umano. Non manca nemmeno il surreale apparire in un bar dei nostri giorni dell’armata di Carlo XII, in marcia per la battaglia della Poltava per andare contro l’esercito di Pietro il Grande, salvo tornare nello stesso caffè, decimata e afflitta nella sconfitta. Tutto ruota intorno al saggio piccione seduto sul ramo che fissa il diorama composto da Andersson dove si snocciola la disillusione del suo autore, e anche il disprezzo per la sua classe dirigente capace di compiere indicibili nefandezze nella più totale indifferenza dinanzi all’altrui sofferenza. Tornano infine i due venditori, i clown senza sorriso, a ricomporrere gli specchi di questo affascinante caleidoscopio che ruota sulla assoluta fragilità dell’esistenza umana.

BIl film di Andersson è raffinato, bellissimo e fortemente spiazzante. Costringe al sorriso e all’ammirazione della sua bruegheliana visione della vita, anche se i più forse non apprezzeranno il suo amore colto per la pittura che si scaglia contro i blockbuster con l’innocenza di un Don Chisciotte.

Dario Arpaio

5 commenti su “La Recensione di Dario Arpaio: Un Piccione seduto sul Ramo”
  1. Gigi Tumbo ha detto:

    Un film di nicchia, per lo piu’ spento, che non puo’ reggere la ribalta, ostico poiche’ culturalmente lontanissimo. Ci sta apprezzarne lo stile, il concetto, i rimandi ad opere auree e offrire una critica positiva. Ma il grande cinema e’ tanto di piu’ di quest’opera, punto.

  2. Dario ha detto:

    Grazie del tuo commento condivisibilissimo. Sarebbe interessante approfondire il concettodi ‘grande cinema’ con qualche esempio. Ciao!
    Dario

  3. Clementina ha detto:

    W GIGI!!!

  4. grazia ha detto:

    Sarà anche un film di nicchia( non è certo un Blockbuster americano) ma è un interessantissimo film . Potrei dire bellissimo ma è il bello è categoria troppo soggettiva .Già dalla prima sequenza mi ha rammentato i dolenti ma ironici film di Kaurismaki – personaggi un po’ stralunati , con grosse difficoltà di comunicazione , ma con profondo senso umano . I vari quadri si innestano generalmente uno nell’altro, con alcuni salti temporali di grande effetto . Si ride, si piange , si pensa , si inorridisce (l’episodio della macchina che emette suoni celestiali per i vecchi ricconi che bevono champagne e si beano della musica senza minimamente farsi problemi morali è sconvolgente ) – insomma un film da vedere per discuterne all’uscita -e ognuno ha visto qualcosa che l’altro non ha visto …

  5. antonella tiraboschi ha detto:

    Scusatemi, ma non condivido affatto l’entusiasmo. Ho trovato il film indisponente anche e soprattutto per la continua e colta citazione letteraria e pittorica. Tecnicamente, invece, il film è superbo; lo potrei definire, tanto per proseguire nella citazione colta, seicentismo cinematografico.
    Concordo con Gigi nel ritenere che un capolavoro cinematografico è una cosa diversa: per fare qualche titolo penso a “La strada” di Fellini: umanità dolente, ma viva ed empatia con il pubblico delle sale che non deve necessariamente avere frequentato la Normale di Pisa per vedere un film che parli anche al cervello


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