Walesa, l’uomo della speranza

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1Ha 88 anni il grande cineasta polacco Andrzej Waida. L’età non gli ha impedito di girare il biopic Walesa, l’Uomo della Speranza. Waida è sempre stato un grande ammiratore di Lech Walesa, colui che a capo del sindacato Solidarnosc riuscì nell’impresa di sovvertire il potere comunista in Polonia, nel corso di una lunga battaglia politica conclusasi con la vittoria nelle libere elezioni. Walesa era già apparso, come figura di riferimento, in uno dei film migliori di Waida, L’Uomo di Ferro del 1981, che seguiva all’altra grande opera del regista polacco L’Uomo di Marmo del ’76. L’impegno civile di Waida è sempre stato potente quanto la sua mano registica, sobria nella narrazione, a tratti scarna, eppure incisiva e poeticamente efficace nell’illustrazione delle vicende del suo Paese. Da non dimenticare un altro splendido film del 2007, Katyin, che narra dell’eccidio di 22000 soldati polacchi avvenuto nel 1940 (tra i quali lo stesso padre del regista) per mano dei servizi segreti sovietici, in seguito agli accordi di spartizione della Polonia tra Stalin e Hitler.

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Walesa, l’Uomo della Speranza è un’opera dal peso forse minore nella filmografia del grande regista, al quale va dato merito per aver fortemente voluto questo film, proprio in questo tempo di grande confusione e incertezza. Assolutamente agiografico, il film esalta l’uomo, anche nelle sue debolezze, ma soprattutto nella sua grande determinazione. Walesa, magnificamente intepretato da Robert Wieckiewicz, mette a nudo se stesso, raccontandosi nel corso di una storica intervista concessa ad Oriana Fallaci nell’81, alla quale dà volto Maria Rosaria Omaggio –davvero sorprendente la sua intepretazione della grande giornalista. Ne emergono non solo la storia di Solidarnosc negli anni dal ’70 al ‘90, ma anche gli aspetti più delicati della vita coniugale dell’uomo Walesa, di questo elettricista, un po’ rozzo eppure capace di muovere le masse senza cedere davanti a nessuna intimidazione del potere. L’aspetto fondante della narrazione, quello che merita elogio, è centrato sulla forza delle idee, sulla spontaneità dell’uomo Walesa, sul suo innato fiuto politico, sulla necessità, da lui ribadita, di fare partire la protesta dal basso, dalle scarpe, dai calzini, evitando inutili intellettualismi. Noi, il popolo, dice Walesa invitato dal Congresso degli Stati Uniti. Ed è in quell’affermazione la sua fede politica. E’ la gente comune che può e deve riconoscersi in se stessa, nella Solidarnosc, nella solidarietà di un unico corpo che manifesti la forza di cento corporazioni e, al di là del bene particolare, arrivare a combattere e vincere quella che è stata una battaglia per la libertà dal totalitarismo. Un grande risalto viene dato da Waida alla figura di Danuta, la moglie di Walesa, madre dei suoi sei figli, interpretata da una brava Agnieszka Grochowska. Senza la sua presenza e tutta la sua abnegazione, forse, l’uomo non sarebbe riuscito a esprimere la forza e la tenacia che ha saputo dimostrare, soprattutto nei momenti più difficili, quando ogni speranza sembrava perduta. L’alternanza di fiction e documenti originali dà forza a questo biopic, che, seppure con tutti i sui limiti agiografici, andrebbe visto soprattutto dai giovani, quegli stessi che magari placidamente ignorano pure chi fu Enrico Berlinguer e che ruolo ebbe nella storia del nostro Paese.

Dario Arpaio

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