Rio 2096 di Luiz Bolognesi

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1Rio 2096, la brillante opera prima del brasiliano Luiz Bolognesi, arriva sui nostri schermi dopo la consacrazione quale miglior film dell’anno ottenuta al Festival del cinema di animazione di Annecy 2013.

La narrazione prende il via nel Brasile del 1560 con la decimazione della popolazione india dei Tupinambà per mano dei conquistatori portoghesi. Apre poi un capitolo nel periodo di peggiore schiavismo del 1830, per arrivare a narrare dei tragici eventi della dittatura militare del 1970 e concludersi con una visione (profetica) della ribellione del popolo esasperato dalla mancanza di acqua nel 2096 del titolo. Ogni capitolo del film ha come filo conduttore e protagonista un indio, che la divinità benigna ha voluto come suo prescelto per combattere il male in ogni sua manifestazione. L’eterna lotta si configura così in un arco di seicento anni e ogni volta l’eroe, assumendo la forma di un uccello, vola nell’era successiva. I nemici o meglio il male mutano forma (i conquistatori portoghesi, i latifondisti, i militari al potere e così via), ma nessuno avrà la meglio. L’uomo è succube del male che lo rende capace di smisurata crudeltà, soprattutto verso i suoi simili, senza rendersi conto che di fatto altera l’equilibrio vitale della Terra avviandola verso l’autodistruzione. L’eroe, il prescelto, si oppone, resiste, ma ogni volta è costretto a fuggire. Unica costante positiva nella sua eterna giovinezza è la presenza di una donna, Janaina, la sua amata che si reincarna a sua volta, rendendo la lotta del bene contro il male vincente nella ineluttabilità di un amore eterno senza fine, forse imperfetto, ma inarrestabile.2

Il film di Luiz Bolognesi è interessante, sebbene la sua tecnica di animazione non raggiunga la perfezione stilistica di quel piccolo capolavoro che è Valzer con Bashir di Ari Folman, tanto per offrire un termine di paragone nel genere. Richiama altresì alla mente varie possibili interessanti letture o rimandi. Pone l’accento drammatico su quella che è una grande piaga per l’umanità, ovvero la mancanza di acqua, e sulle possibili lotte future per l’accaparramento delle risorse. E’ accattivante, anche se a tratti la voce narrante del protagonista, che accompagna lo spettatore da un’era all’altra, eccede in lungaggini.

Nel momento in cui tutto il mondo guarda al Brasile come la meravigliosa terra del calcio, con il suo Mondiale dei Mondiali, apre una finestra anche sulla storia di quel paese sconfinato e fortemente contradditorio, nato dal sangue degli indios e non solo.

Dario Arpaio

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