Joe di Gordon Green con un grande Nicolas Cage

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JoeIl film Joe di David Gordon Green ha il grande merito di aver risvegliato l’interesse nei confronti dell’autore dell’omonimo romanzo del 1991 dal quale è tratta la sceneggiatura: Larry Brown, scomparso all’età di 53 anni nel 2004, è un autore molto amato negli States, già vincitore del prestigioso Southerner Book Award nel 1992. La sua poetica, densa di faulknerismo, viene accostata a quella di altri grandi, come Cormac McCarthy o Charles Bukowski.

Il regista di Joe, David Gordon Green, si affida alla sceneggiatura di Gary Hawkins, il quale ha saputo tradurre la scarna asciutta prosa di Brown in uno script cinematografico di spessore. A Nicolas Cage è affidato il ruolo del protagonista ed egli torna sullo schermo davvero con una grande intensa interpretazione, tra le sue migliori da quel Via da Las Vegas, che gli valse l’Oscar nel lontano 1995, a soli 32 anni.

Joe è un bastardo collerico, vive in uno dei tanti anonimi paesini di quel profondo sud est, dove ai grandi spazi fanno da contrappeso le poche anime strizzate che sopravvivono a loro stesse in un susseguirsi di esangui giornate tutte uguali, là dove il mito della frontiera è un valore invertito. La vita pare non voglia offrire a nessuno di loro quella seconda chance che autorizza la redenzione. La strada dei giorni si rivela drammaticamente segnata per tutti, senza vie di fuga possibili. Joe però cerca, insegue un senso diverso nella sua vita, tenta di trattenere la sua incontenibile rabbia che può esplodere acida ad ogni istante e che lo ha già condotto in galera. La sublima seguendo un suo codice morale dove a volte il bene finisce con il trasbordare nella violenza, come fosse la sola e unica voce necessaria per farsi ascoltare dai balordi.

Joe lavora duramente con una squadra di neri al disboscamento abusivo di una tenuta, della quale il proprietario vuole fare tabula rasa per ricostruirla a suo gusto con altri alberi ritenuti più forti. A Joe non interessa altro che il lavoro per sè e i suoi uomini ai quali tiene molto così come sono, rudi e tagliati con il coltello della fame. Tutto corre lento nella vita della comunità fino all’arrivo di un ragazzo quindicenne, interpretato dal bravissimo Tye Sheridan. Lui bada come meglio può a una madre e una sorella muta, vittime di un padre violento e alcolista. Joe lo assume come lavorante e il ragazzo ci dà dentro. Tra i due si sviluppa l’alchimia come tra genitore e figlio e l’uomo farà di tutto per sostenere e soccorrere il ragazzo fino al tragico inevitabile epilogo, addomesticato ed edulcorato dalla visione della vita che rinasce nella grande tenuta, dove finalmente si farà spazio ai nuovi alberi. Il ragazzo e lì e il suo futuro sembra dischiudersi su di un orizzonte sereno.

Per certi versi il tema conduttore della sceneggiatura di Joe è stato affrontato, visto e rivisto sullo schermo, ma da un lato l’asciutta regia di Gordon Green e dall’altro la superba prova d’attore di Cage ne fanno un film forte e godibile, sostenuto da un’ottima fotografia che apre l’obbiettivo su quel profondo sud dell’America, così duro affascinante e scabro, dove la Natura resta impassibile di fronte ai piccoli uomini che la abitano.


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