Giù al Nord, Si può Fare

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Cosa mai può avere in comune il bellissimo Si può fare di Giulio Manfredonia con il più che divertente Giù al Nord di Dany Boon? Certamente entrambi i titoli portano con sé risate da non perdere. Amare, a tratti dure, quelle suscitate dalla regia di Manfredonia con Claudio Bisio, mai così bravo. Molto più leggere quelle che lo stesso Dany Boon fa letteralmente scoppiare grazie alle vicissitudini di un funzionario delle poste. Sono risate di pancia, come le insegnava il grande Aldo Fabrizi, quelle generate in noi dall’ingenua, quasi ancestrale paura di un Nord, ritenuto oscuro, che costringe il  povero Boon a coprirsi con un piumino in pieno aprile, prima di iniziare il suo viaggio verso quel Nord-Pas-de-Calais avvolto nelle nebbie di ghiaccio… Quì va anche reso un doveroso omaggio al confronto con Totò e Peppino alla ricerca della malafemmina fuggita a Milano. Pure Claudio Bisio fa ridere quando varca la soglia della Cooperativa 180, incespicando tra i pregiudizi di noi tutti verso i matti, quelli liberati da Franco Basaglia. Tutto ciò che non si conosce è ritenuto diverso da noi e può fare paura, addirittura suscitare sgomento. Come accadde quando nel 1983 la legge intitolata al grande psichiatra chiuse i manicomi liberando i malati di mente da quegli autentici luoghi di tortura, di contenzione nel buio dell’animo, emblemi del disonore di questo tempo di civiltà presunta. Ripenso alla cartella clinica di Dino Campana, questo nostro poeta disperato, dove il medico curante registrava comportamenti sconsiderati causati da un uso smodato di caffè. Invece il caffè che beve Dany Boon al Nord ha un’aggiunta di cicoria, e ci si deve anche pucciare dentro una fetta di pane spalmato con un formaggio-che-cammina, ma la mano che lo offre è amica al punto che con tutti gli altri inventerà un  fasullo  paese terribile, ma solo per burla, per soddisfare le premure della moglie del protagonista, giunta a soccorrere il marito ritenuto perso in un Nord ostile. Gli autentici rapporti umani sanno generare anche sconosciute tenerezze e intimità svelate, al Nord di Boon e tra i matti di Manfredonia. L’umano (forse) non vive solo per soddisfare gli istinti del cosiddetto male dell’aggressività secondo Lorenz. Vuole l’amore, meglio ancora se musicato a notte fonda da una torre carillion zeppa di campane e campanelle. E’ quell’antico seme della vita che va inseguito, ricercato, ritrovato. Ognuno dentro cerca solo l’unione, la condivisione di sé, così come i matti della cooperativa di Bisio vogliono la loro vita insieme per fugare la paura del mondo, per la dignità. Ci si può smarrire nella tragedia (si veda l’episodio del suicidio del ragazzo, che tanto ricorda un analogo episodio di Qualcuno volò sul nido del cuculo), ma occorre lasciar libera di agire quella forza in ognuno di noi che dopo averci piegato le ginocchia, è essa stessa capace di rinsaldarle e offririci lo spunto per non mollare, per ricominciare a inventare il parquet degli scarti della Cooperativa 180, per sapere vedere che anche al Nord la vita è vita e non c’è legge che possa rinchiuderla. Le malelingue e i pregiudizi si fottano! Ci sarà sempre un potere che vorrà limitare le nostre libertà, renderci inermi e invisibili a noi stessi. Sarà la nostra umanità nascosta ad aprirci gli occhi e a far volare più in alto la nostra intelligenza, anche con la forza di un sorriso e questo c’è in Si-Può-Fare, Giù-al-Nord.

Dario Arpaio

2 commenti su “Giù al Nord, Si può Fare”
  1. lalla ha detto:

    beh… aldo fabrizi resta un mito della cinematografia italiana. un mostro di bravura

  2. Dario Arpaio ha detto:

    Fabrizi, con un po’di civetteria, prima di andare sul palco diceva più o meno così:”Moh vado là e li faccio ride de panza…no de testa… state ‘n po’ a vede…”. E il pubblico qualche minuto dopo si spellava le mani nell’applauso.
    …Beh, abbiamo ancora Proietti!
    ciao.


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