Attack the Block, alieni contro baby gang

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Joe Cornish è stato anche sceneggiatore per Spielberg (Tin Tin) dopo avere ottenuto un certo successo in patria come attore comico in una serie della BBC molto seguita in Inghilterra. Il suo primo cimento con la regia, Attack the Block, è un gioiellino di originalità, un crogiuolo di cinefilia applicata, con spiccati accenti di devozione verso i B-movie horror o fantascienza, con un occhio anche a certa critica sociale.

Così si può riassumere il gradevolissimo Attack the Block, già applaudito a Toronto, a Los Angeles, a Locarno e altrove. Pure al Torino Film Festival, grazie al suo direttore Gianni Amelio, fine cineasta, capace di riconoscere il talento là dove si trova. Joe Cornish può ben ritenersi soddisfatto della sua opera prima, ci ha messo dentro tutto il suo affetto per film come E.T., o per le invenzioni dei Dario Argento, di Lucio Fulci, di John Carpenter.  Come dire che è cresciuto nella sua Londra nutrendosi con il cinema degli anni ’70.

Ed è proprio in un quartiere periferico a sud della sua città, intorno a un anonimo casermone dormitorio, dove si svolge un attacco alieno. Perché è di questo che si tratta e non sono le truppe speciali a contrastare l’invasore dai denti fluorescenti, ma una baby gang, contro cui lo sprovveduto extraterrestre ha la sfortuna di imbattersi. Già, perché sono davvero terribili quei bad boys in sella alle mountain bike o in groppa ai cinquantini, armati di mazze da baseball o serramanici, buoni per terrorizzare e rapinare una sfortunata infermiera, ma che, altrettanto, non indietreggeranno dinanzi a una minaccia venuta dallo spazio. Il quartiere è solo roba loro.

Il film scorre di buon ritmo, valido anche nel ricostruire livide atmosfere stile Distretto 13 e le sue brigate della morte. Tra i bad boys ci sono anche due bambinetti, Casino e Problema, che è meglio non contraddire mai. Tutto può esplodere in Attack the Block, soprattutto il divertimento irriverente del suo autore, Joe Cornish che, c’è da starne certi, non si fermerà qui.

Dario Arpaio

 


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