Ruggine a Venezia

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A.D. 2011. La kermesse veneziana è partita sotto l’insegna del Male, come se questo nostro tempo ne fosse ormai del tutto succube. I primi tre film proiettati alla 68ma edizione ruotano intorno a temi dolenti, quasi senza speranza di riscatto.

Clooney, con le Idi di Marzo, racconta del cinismo e della totale immoralità della vita politica americana.  (In questo, anche il nostro Paese, ahimè, stà diventando un campione di negatività).

Il grande Polanski è capace di trasformare, come pochi altri sarebbero stati in grado di fare, un testo teatrale in un film claustrofobico di altissimo livello, Carnage, offrendoci il quadro spietato del come quattro individui comuni possano arrivare a sbranarsi l’un l’altro, mostrando il lato oscuro che latita, diabolico e sornione, in ciascuno di noi.

Infine, Daniele Gaglianone rilancia davvero il livello del nostro cinema, con Ruggine, un film formalmente perfetto, su di un tema terribilmente difficile da affrontare, quello della pedofilia.

La sceneggiatura è tratta dall’omonimo romanzo di Stefano Massaron e narra dei fatti di un quartiere della periferia di una città del nord durante gli anni ’70. Gaglianone ambienta con stile, infonde alla scena i caratteri di un luogo luogo metafisico, suddiviso tra i casermoni, dormitori popolari per immigrati e, due enormi silos abbandonati, trasformati dalla fantasia di una banda di ragazzini nel ‘castello’. E’ quest’ultimo, che, da luogo di giochi, diverrà un cupo teatro di sangue e rimarrà per sempre inchiodato nell’animo dei protagonisti.

L’arrivo di un nuovo pediatra nel quartiere segna l’inizio della vicenda. Il dottore è un pedofilo assassino. Ci appare come un demone, un uomo nero che insozzerà irrimediabilmente le vite dei bambini con la sua perversione.

Nel ruolo del medico Filippo Timi offre davvero una grande interpretazione. L’attore si è lasciato plasmare in toto dalla mano del suo suo regista, come lui lui stesso ha affermato in una recente intervista, per dare il massimo in un ruolo che non tutti avrebbero accettato di interpretare. Uno di quei ruoli che poi segnano la carriera. Timi è attore di teatro, dove è regista lui stesso. Ha dato prove eccellenti a fianco di Gabriele Salvatores, di Giuliano Montaldo, di Marco Bellocchio, di Michele Placido, esibendo sempre un alto profilo, una grande classe di attore, a ogni prova. Il suo demone pedofilo va al di là della stessa perversione che fa di questi individui dei mostri. Gaglianone lo muove in primo piano, nero, cupo, rasposo come la sua voce inconfondibile o ce lo mostra di schiena, a renderlo ancora più oscuro, terribile, inesorabilmente incombente nella vita delle piccole vittime.

Il suo personaggio ucciderà e lascerà per sempre il segno del suo passaggio nella vita di tre ragazzini superstiti. La storia è narrata in un drammatico andirivieni tra il passato e il presente, tale da rendere in un continuum, ciò che è stato e ciò che è.

I tre ragazzini cresceranno dopo le crude prove affrontate, ma non potranno dimenticare. Non saranno più veri come avrebbero potuto essere. Il male ha una radice tenace e, una volta attecchito, è solo ruggine che non si distacca più dalle sue vittime. Loro restano prigioniere del passato e il loro presente è un limbo al quale nessuno può avere accesso, forse nemmeno loro stessi. Esemplare in questo senso la sequenza che segue i titoli di coda.

Valerio Mastandrea, Stefano Accorsi, Valeria Solarino, tutti al meglio,  mostrano in tutta la drammaticità il volto di quei bambini divenuti adulti. La mano di Gaglianone accarezza ogni personaggio nella sua personale raffinata orchestrazione. Alterna chiari e scuri con mano forte e sicura e offre un risultato davvero eccellente grazie anche alla preziosa fotografia di Gherardo Gossi.

Dario Arpaio

 


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