Le Paludi della Morte

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Le Paludi della Morte, ovvero Texas Killing Fields, ovvero un affare della famiglia Mann quasi al completo. Esordio alla regia perla giovane Ami Canaan, scenografia affidata alla sorella, Aran, e produzione in mano al grande padre Michael, che soverchia con la sua ingombrante presenza di grandissimo cineasta.

Il risultato è un film cupo, fosco, dove la nebbia del male sale lenta e ingoia inesorabilmente ogni anelito di bene. “You are now entering in the Cruel World” è scritto in un cartello, come a dire “lasciate ogni speranza voi ch’entrate” e, non c’è che dire, la promessa dell’assassino è mantenuta. Due detective sono alle prese con le loro nevrosi e con un pluriomicida che tortura e affonda le sue giovani vittime nella grande e tetra palude vicino a Texas City, di fronte a un oceano inacapace di penetrare quelle terre fangose e lavarle del sangue. Purtroppo la vicenda trae origini da fatti realmente accaduti, oggetto dell’omonimo romanzo di un certo Donald Ferrarone, ex agente della DEA, il quale, magari, ha vissuto in prima persona quei tragici fatti.

Quindi nulla di originale, tranne forse la location. Il tutto girato e orchestrato secondo un copione collaudato: due detective (anzi tre), un serial killer (o forse più di uno), e tante vittime scannate. Le serie televisive ci stanno abituando alla visione del sangue, del dolore, del male in tutte le sue orribili variazioni tematiche e cromatiche. Anche nelle Paludi della Morte i due (anzi tre…) detective si affannano, combattono senza sosta, senza un attimo di tregua per porre fine alle scelleratezze del killer seriale. A nulla valgono le preghiere di uno dei due, fervente devoto. Lui stesso diverrà succube della violenza, della animalesca sete di vendetta. Non c’è il bene in quelle terre sporcate dalla miserabile furia omicida. Ognuno può cadere preda degli impulsi reconditi in ogni uomo. Non ci può essere salvezza, solo vendetta. Sangue contro sangue, senza perdono.

In chiusura del film, proprio nelle ultime immagini, si cela forse uno spiraglio per una speranza di vita, ma le paludi sono sempre là, con il fango che assedia gli alberi scheletriti, unici testimoni del dolore umano.

Davvero niente male questo esordio alla regia per Ami Canaan Mann, grazie anche alla bella e capace prova di Sam Worthington e del suo ‘compare’ Jeffrey Dean Morgan. C’è da auspicare che sappia imprimere una sua impronta più personale e ben scandita alle sue prossime fatiche registiche. Ma tagliare il cordone ombelicale da cotanto padre sarà impresa ardua davvero.

Dario Arpaio


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