War Horse al galoppo verso l’Oscar

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Molto è stato già detto intorno a War Horse, il film di Steven Spielberg che ha ottenuto sei nomination nella corsa per gli Oscar. Forse si è aggiunto anche troppo e, talvolta, tendenzialmente a sproposito, tanto per dar fiato alle trombe. Non esiste l’opera perfetta e ciascuno ha diritto ad esprimere le proprie opinioni, dentro o fuori dal coro. Un fatto è certo e incontrovertibile, Spielberg è uno dei massimi indiscutibili narratori per immagini del nostro tempo. Possiede quella rara e innata sensibilità di scrittura nell’immagine, tale da emozionare il pubblico e, anche, di fare soldi a palate con i suoi film. Con i più recenti titoli ha già avuto un’attenzione particolare alle vicende di guerra, ma risulta un puro esercizio insignificante e sterile, voler accostare la sua conduzione della macchina a quella di Kubrick oppure di Ford. Ogni grande cineasta ha una propria cifra stilistica, ne segue le tracce nella sua costruzione poetica. Si può ispirare a ciò che è stato, a volte con l’intento di rendere omaggio, ma Spielberg è solo e soltanto Spielberg.

Ciò premesso veniamo al film. Il soggetto originale di War Horse sta nel romanzo di Michael Morpurgo, il quale ha voluto, per così dire,  rendere un omaggio, un deferente ricordo alla memoria dei milioni di cavalli uccisi durante il primo conflitto mondiale, utilizzati o per il traino o in quelle ultime grandi tragiche ed epiche cariche di cavalleria, che non ebbero più eguale seguito nel corso della storia. La sceneggiatura di Lee Hall e Richard Curtis è sufficientemente ancorata al romanzo, ma risulta un po’ superficiale nella definizione dei caratteri dei tanti personaggi che incrociano le proprie esistenze con quella del magnifico stallone protagonista. La regia di Spielberg sopravviene a ogni leggerezza di scrittura, componendo un mosaico di carrellate di una toccante purezza descrittiva e dense di fascino.

Alcune sequenze sono da antologia. In particolare quella del galoppo disperato del cavallo in fuga attraverso le linee dei due schieramenti avversari, scontrandosi con quel filo spinato che separa e poi, meravigliosamente ri-unisce, con grande magia scenica, i nemici, coinvolgendoli in un atto di pietà. Un altro momento di grande cinema è offerto, senza dubbio, dal finale. Cinque minuti di forte tensione emotiva che non può non commuovere lo spettatore. La guerra, pur nella sua tragica orrenda atrocità, è anche capace di esaltare le più grandi qualità dell’essere umano,  in positivo. E’ la nostra grande contraddizione di esseri umani, capaci come siamo di smarrire, anche  in un solo attimo, ogni senso di dignità, eppoi essere capaci di ritrovarla, esaltandola magari in atti di sublime compassione o di estremo sacrificio. War Horse di Spielberg  può apparire, ad una prima lettura superficiale, un film démodé, con qualche accenno nostalgicamente compiaciuto nei confronti del cinema degli anni ’50, da certuni sottolineato come un difetto. Eppure, a ben guardare, tra i film in corsa per gli Oscar, c’è proprio il super favorito The Artist, magnifico film muto e in bianco e nero. Quindi? Forse, oggi, riandare al passato stà anche a significare un certo disamore o distacco nei confronti di questo presente globalizzato, acido, come la pioggia che cade senza sosta nel futuro dipinto  in Blade Runner.

Dario Arpaio


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