Robin Hood secondo Crowe

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Robin Hood è una di quelle leggende che non invecchiano mai. Se ne stanno lì, in un cantuccio oltre il tempo, pronte a risvegliarsi al minimo cenno di interesse, con quel senso di familiare affezione che le rinverdisce ogni volta di più. Chi era poi costui, un delinquente ladro? Un cavaliere romantico? Un simpatico cialtrone? Bene o male si arriva quasi sempre, nel nostro immaginario, a identificarlo con Errol Flynn vestito di verde, al suo indimenticabile duello di spada con Basil Rathbone nel finale del film, quello del 1938 per la regia di Michael Curtiz, La Leggenda di Robin Hood che vinse tre Oscar.

Errol Flynn era australiano, proprio come il nuovo Robin Hood, Russell Crowe, che oggi si cimenta con la leggenda dell’arciere della foresta in un film del quale ha voluto essere co-produttore insieme a Ridley Scott e Brian Grazer. Con quest’ultimo c’è un’intesa di vecchia data che ha già portato altri successi come A Beautiful Mind e Cinderella Man. I tre si trovano, pensano e ripensano al nuovo progetto. Se si vuole raccontare del bandito di Sherwood ci vuole qualcosa di originale. Ed ecco il risultato calibrato su Crowe da quel gran regista che è Scott, il quale arriva a raccontare sempre la ‘sua’ storia, magari distante da quella autentica, ma fatta di uomini che non si piegano agli eventi avversi e arrivano a dominarli con il proprio eroismo, a volte sfacciato, altre incosciente, tutto pur di risorgere nel risccatto della libertà di un solo istante di gloria o di una vita intera.

Il Robin Hood di Ridley Scott è un arciere, un semplice soldato di truppa che combatte per dieci lunghi anni in Terra Santa al seguito di Riccardo Cuor di Leone, il quale verrà ucciso lungo la via del ritorno in patria durante l’assedio a un castello dei nemici francesi. Casualmente Robin si trova tra le mani la corona del re e decide di riportarla lui stesso in patria. Dovrà poi fronteggiare tutti i cattivi che la leggenda ci ha tramandato, da un re Giovanni, oppressore del suo stesso popolo, allo sceriffo di Nottingham, che nella storia appare solo marginalmente, non avendo ancora il ruolo che tutti conosciamo di acerrimo nemico di Robin Hood. Sì, perché questa versione della leggenda si pone come una sorta di prequel di ciò che è stato tramandato nel tempo. I personaggi noti ci sono già tutti, lady Marion, una splendida Cate Blanchett, frate Tuc, Little John. Ma la fuga e la latitanza nella foresta di Sherwood è solo l’atto finale della vicenda e arriva dopo un’epica battaglia degli inglesi riuniti proprio dall’impeto patriottico di Robin che li sprona per arrivare tutti insieme a fronteggiare il nemico francese su di una spiaggia dove sono sbarcati per invadere l’Inghilterra in una sequenza simil-Spielberg-soldato Ryan. Mezzi da sbarco in massa approdano sul bagnasciuga e uno stuolo di frecce li accoglie. Il resto è battaglia furiosa girata e montata con grande maestria e l’utilizzo di più di 1500 comparse che il genio registico di Scott muove in maniera impeccabile e altamente spettacolare.

Crowe però non sembra mostrare in questo film lo stesso piglio eroico che gli ha tributato grande fama con il Gladiatore. Pare a tratti un po’ assente, quasi disincantato. Eppure si è preparato con grande cura ed efficacia al suo ruolo documentandosi con la lettura di più di 50 testi sulla figura dell’arciere di Sherwood, allenandosi con scrupolo all’uso del ‘long bow’, l’arco inglese del XIII secolo, tutto pur di dare realismo alla sua interpretazione che, però, ripeto, non appassiona fino in fondo.

Tutti saremmo pronti a seguire l’eroe al servizio degli oppressi, a risorgere ogni volta, fino a che le pecore non diventeranno leoni arrabbiati. Questo vorrebbe il nuovo Robin Hood di Crowe e Scott. Sarebbe bello crederci davvero per scoperchiare davvero quanto c’è di marcio nella politica odierna, sempre di più al servizio del potere e sempre meno a quello del popolo reale solo nella sofferenza, quella che può divenire strumento di mera propaganda raccogli-voti. Ops… ma questo è Draquila della Guzzanti e noi stavamo parlando di Robin Hood! Oddio, che confusione abbiamo fatto! Il finale, forse, almeno quello, non dovrebbe cambiare…

Dario Arpaio


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