Passannante è vivo!

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Il 150° dell’Unità d’Italia è occasione di orgoglio, di festeggiamenti, ma anche perfetta e puntuale opportunità per conoscere e riconoscere i segni e i passi che hanno consentito al nostro Paese di essere finalmente Uno, libero da dominii stranieri o da mediocri padroni. Il percorso è stato scandito nel Risorgimento da grandi ideali ai quali i giovani, per primi, hanno aderito con anima e corpo, versando il proprio sangue per quel sogno che si chiamava Italia. Poi una famiglia reale, se ne è abilmente impadronita e qualcosa si è come interrotto in quella magica partitura scritta inizialmente dal popolo. Uomini come Mazzini e Garibaldi hanno dato l’accordo a qualcosa di inarrestabile e oggi noi tutti ne godiamo i frutti. Molte pagine della nostra storia, purtroppo, sono quasi sconosciute ai più, cadute a volte nel dimenticatoio di qualche libro di storia. Andrebbero rispolverate, risvegliate. Avrebbero bisogno di una nuova eco, di una nuova dignità che potesse rinverdire quello spirito unitario dal profondo, lontano da demagogie e stereotipi.

Mario Martone, dal canto suo, ci ha regalato una lettura esemplare delle radici del Risorgimento con il suo pregevole film Noi Credevamo, capace di penetrare nelle pieghe del nostro passato, mostrandoci chi, come e quando ha saputo tingere di passione e di sangue l’Ideale.

Sergio Colabona, affermato regista televisivo, si è appassionato, a sua volta, all’operato dell’attore Ulderico Pesce, che aveva già portato in teatro con grande tenacia e ostinazione la vicenda, quasi del tutto ignorata, di Giovanni Passannante, traendone un film in questi giorni in circolazione sugli schermi, benché distribuito in poche copie.

Il 17 novembre 1878, il giovane lucano Passannante, armato di un temperino e di un drappo rosso inneggiante alla Repubblica Universale, assalì la carrozza di Umberto I  nel tentativo disperato di richiamare l’attenzione su quelle che per lui erano richieste fondamentali: il diritto alla pensione per gli anziani e l’assegnazione di un assegno di maternità alle donne. Venne arrestato, torturato dai carabinieri, infine, solo per opportunità e per calcolo, venne, per così dire, graziato e condannato all’ergastolo. Fu rinchiuso per 14 anni in una specie di cella situata sotto il livello del mare, di fatto seppellito vivo, nel carcere di Portoferraio. Le condizioni più che disumane di quell’isolamento lo portarono alla cecità, al deperimento totale, fino ad arrivare a nutrirsi delle sue stesse feci. Successivamente venne trasferito nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dove morì nel 1910. Il cadavere fu poi decapitato e, in nome della scienza, il teschio e il cervello furono esposti nel Museo di Criminologia di Roma, fino a diventare, secondo le affermazioni della direttrice Borzacchiello, ‘il pezzo forte’ per i visitatori, secondo ciò che la logica delle aberranti teorie del Lombroso avevano trasformato in un esempio di tipico ‘criminale comune’.

Ma per i Savoia, la condanna del Passannante non fu vendetta sufficiente. La madre, la sorella e il fratello vennero rinchiusi per sempre in un manicomio criminale. Il paese di origine del Passannante, Salvia, in provincia di Potenza, venne costretto a cambiare nome in Savoia Lucania, nome che conserva tuttora. Un ulteriore sfregio alla libertà del popolo da parte di quella casa regnante.

All’uscita del film su Passannante i nostalgici sostenitori dei Savoia, hanno fatto sentire la loro voce sollevando proteste per la dichiarata apologia di colui che, secondo loro, è stato di fatto un regicida, reo di avere attentato alla vita dell’Umberto I, anche se solo con un coltellino di pochi centimetri. Le colpe di Passannante furono ben altre! Aveva osato apprendere a leggere e scrivere da solo. Aveva imparato a ragionare con la sua testa, appassionandosi al pensiero mazziniano, all’idea della libertà universale.

Il film di Colabona è certamente apologetico, e in questo sta il suo maggior merito. Passannante è una sorta di docufilm, che alterna ricostruzioni storiche a filmati originali, portando alla luce anche la lunga e tenace battaglia condotta dall’attore Ulderico Pesce insieme con il giornalista Alessandro de Feo, e Stefano Satta, voce solista del gruppo dei Tetes de Bois, autori della pregevole colonna sonora. I tre hanno fatto di tutto affinché venisse resa pietà ai resti del Passannante dando loro sepoltura nel cimitero del suo paese natale. Hanno bussato e bussato ancora alle porte dei ministri di grazia e giustizia che si sono succeduti nelle varie legislature, nel disinteresse pressoché totale di chi sulla poltrona di governo, in genere, si siede solo per il proprio tornaconto. Tutto è proseguito fino al 2007 quando i tre hanno finalmente vinto la loro battaglia, ottenendo le autorizzazioni di legge alla traslazione dei resti di Giovanni Passannante. Grande è stata la soddisfazione di coloro che hanno risposto alle sollecitazioni dell’attore Ulderico Pesce, che con il suo accorato spettacolo teatrale sulla vicenda, “L’Innaffiatore del cervello di Passannante”, ha raccolto attorno a sé il consenso di molti altri artisti e gente di spettacolo e non solo, tra i quali anche Carmen Consoli, Gino Paoli, Franca Rame, Gianni Mura, Paola Turci, Antonello Venditti, Giorgio Tirabassi, Francesco Guccini, Marco Travaglio, Rocco Papaleo, Fulco Pratesi, Sergio Staino, Erri De Luca, Dario Fo, oltre a qualche onorevole illuminato dalle parole di Pesce.

Ultimo doveroso atto sarebbe  quello di restituire al paese di Passannante, il proprio nome Salvia, cancellando lo sfregio dei Savoia, per sempre.

Dario Arpaio


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