La Banda

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Abbiamo già molto apprezzato il film tunisino Cous Cous nella sua ricerca raffinata e genuina di un’immagine filmica arricchita dall’ossequio a quanto di meglio si possa attingere dalle radici del neorealismo italiano. Con La Banda, opera prima dell’israeliano Eran Kolirin, la cultura del Mediterraneo si affaccia ancora sul cinema europeo quasi lanciando un sfida (già vinta) a quel tipo di soggetti sempre più asserviti agli effetti speciali e alle tecnologie facili da vendere in un mercato spesso privo di una vera e propria fantasia creativa, fatta eccezione per qualche grande capolavoro al di là di ogni etichetta. La Banda viene proposto al Festival di Cannes 2007 e riceve il premio come migliore opera prima nella rassegna Un Certain Regard.

Narra dell’incontro buffo e scombinato tra una banda musicale di egiziani e un gruppo di israeliani abitanti di un villaggio sperduto nel deserto. La banda della polizia di Alessandria, guidata da un severo colonnello ligio alla disciplina, arriva suo malgrado nel paesetto di Beit Hatikva invece di raggiungere la reale destinazione dove sono attesi per il concerto inaugurativo della sede di un centro di cultura araba. A Beit Hatikva viceversa non c’è nulla se non solitudine e sogni perduti, solo poche case nel mezzo di niente. Gli otto egiziani si fermano là in un chioschetto gestito da una bella e intraprendente padrona, una barista quasi in forma di locandiera goldoniana. La donna accoglie i musicanti insieme con altri stralunati abitanti del villaggio. Da quel momento le vicende degli uni si incrociano con quelle degli altri in un caleidoscopio di inquadrature perfette nei piani sequenza, in un balletto di sentimenti a tratti comico, ad altri drammatico, fatto di situazioni esilaranti o ricolme di disperata malinconia. Sembrano suggerirci empaticamente che la ricerca della felicità è una e universale, dove la musica l’accompagna sempre, sia essa quella struggente delle ballate tradizionali egiziane, oppure in un retaggio del grande Chet Baker e della sua Fanny Valentine. Ognuno dei personaggi serba un proprio sogno o un rimpianto e tutti vivono oltre la Storia, in un tempo al di là dei conflitti. Si salutano infine in un commiato che riporta ognuno alla propria esistenza di prima, ai piccoli gesti quotidiani, senza sussulti, ma forse con un po’ di consapevole speranza in più.

Dario Arpaio.


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