Il Parnassus di Gilliam scommette con il diavolo

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lily cole 1A messer satanasso piacciono le scommesse, questo è risaputo. Dal canto nostro, noi piccoli uomini giriamo senza sosta a cavallo di una giostra dove una volta si vince e un’altra si perde. In fondo, tutto dipende dalla posta, ma che sia un centesimo o la vita stessa, nel gioco delle parti ci si incaponisce fino al delirio.

Parnassus, l’ultima creatura di Terry Gilliam, nella notte dei tempi riesce a vincere l’immortalità in una scommessa con il diavolo, ma rischia poi di perdere la figlia. Il diavolo in bombetta, Nick, lo marca stretto per vendicarsi dell’affronto e pretende la ricompensa che coincide con il tempo del sedicesimo compleanno della bella Valentina. Altro giro, altra corsa. Parnassus sta perdendo terreno. Nick, con il suo ghigno sardonico nascosto dietro al perenne sigaro in bocca, soffia un fumo di una gelida vittoria nella  rivincita inseguita per secoli. Quell’uomo gli ha vinto il premio dell’immortalità, ma questa volta deve pagare e pagherà con ciò che gli è più caro. All’improvviso compare Tony come un principe, un po’ cialtrone e donnaiolo, un romantico eroe burlesco e alla fine…

Tutto ciò è in Parnassus, l’uomo che voleva ingannare il diavolo. Terry Gilliam ci trascina su quello scalcinato carro di Tespi che è Immaginarium, lo spettacolo itinerante attraverso il quale Parnassus, nella sua performance di semitrance, offre al suo (spesso malcapitato) pubblico l’opportunità di penetrare nei loro stessi sogni varcando un magico specchio di fantasia, tremendo e sublime a un tempo. Incubi e meraviglie si dispiegano oltre quello specchio. Chi saprà e vorrà, potrà scegliere tra il bene e il male; tra Nick e Parnassus. Quello specchio magico altro non è se non la nostra stessa possibilità di sopravvivenza in una realtà ostile, che ottenebra le menti, costringendoci a sopravvivere inseguendo il solo gusto della vittoria effimera del successo attraverso il danaro.

La fantasia è una chance, un atout da giocare, una via di salvezza, forse l’unica in grado di allontanarci dal delirio di questo tempo apocalittico. In Parnassus c’è tutto Gilliam che si ripropone con i suoi temi di sempre, dai tempi dell’indimenticato Brazil (1985) fino al discusso, quanto mai sublime Tideland (2005). Nell’arte secondo Gilliam è celata ogni risposta, ma la verità, è noto, è una dama velata, si concede, ma senza mai svelarsi del tutto. Gilliam la insegue con i suoi personaggi, nei suoi film, fino a scontrarsi con un fato decisamente avverso come nel suo Don Chisciotte senza fine. A proposito, è certo, finalmente: si farà, ma, ahimè senza Johnny Depp a vestire i panni di Sancho Panza.

Parnassus è anche l’ultimo grido di Heath Ledger nei panni di Tony. Ora solo il silenzio avvolge quello che è già ricordato come un grande, indimenticabile attore. La sua interpretazione di Tony è superba, perfetta e lascia ulteriore amaro in bocca per ciò che non sarà più. Dopo la scomparsa avvenuta durante la lavorazione del film, dopo l’attonito desolato stupore, con un colpo di coda geniale e commovente, Gilliam con il supporto di tre amici di Ledger che lo aiutano a terminare l’opera in un gioco funambolico e perfetto. Il risultato ottenuto è magnifico. Di volta in volta Johnny Depp, Colin Farrell e Jude Law vestono i panni di Heath, di Tony attraverso lo specchio che separa la realtà dalla fantasia. Forse proprio simile a quello dove, forse, ora si trova Ledger.

Un plauso particolare a Christopher Plummer che garantisce con il suo Parnassus un sublime spessore shakespeariano.

Che dire poi di Tom Waits nei panni di Nick il satanasso… A proposito, se lo incontrate… non scommettete con lui, non ci sarà sempre un Tony a cavarvi dai guai.

Dario Arpaio


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