Che noia la sera in quel Bar Sport

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Negli anni ’70 mancare la lettura di un numero di Linus, o di altre riviste di fumetti più o meno satiriche, era come commettere un peccato contro la fantasia ela libertà. Era il 1976 e Stefano Benni pubblicava Bar Sport, uno dei suoi romanzi di maggiore successo, un ritratto umoristico della vita di provincia con i suoi grotteschi personaggi, indimenticabili macchiette surreali, che sembravano uscite da un numero di Linus. Benni giocava al bar sport con la sua penna in libertà, divertendosi e divertendoci, tra una partita al flipper o una magica carambola sul tappeto del biliardo, di quelle che non si dimenticheranno mai.

Oggi, nel 2011, arriva nelle sale la trasposizione cinematografica di quel magnifico romanzetto per la regia di Massimo Martelli, e va subito detto che portare la parola scritta di Benni dalla pagina allo schermo, traducendola in immagini più o meno consone, era impresa più che ardua. Così è stato per questo film. Bar Sport esce con poco ritmo e un timbro lontano da quello del libro al quale si è ispirato. Le sequenze, che avrebbero dovuto ricreare l’atmosfera surreale del Bar Sport, non decollano quasi mai e, quando ci riescono, il risultato ha un che di stantio. Poche e vaghe sono le risate del pubblico di fronte al susseguirsi di macchiette che sembrano un frullato del peggio di Zelig con un Bisio ormai onnipresente. Il cast sulla carta può sembrare eccellente, perfetto, confacente: Giuseppe Battiston, Antonio Catania, Angela Finocchiaro, Lunetta Savino, ma sembrano tutti imbalsamati, e che dire di Teo Teocoli sempre più vittima di stesso, e Vito poi…

Questo Bar Sport non ‘prende’ mai, eccezion fatta per le riuscite incursioni nell’animazione, purtroppo sparse qua e là senza un vero fil rouge che possa legarle alla storia.

Bar Sport potrebbe essere davvero una buona occasione per dimenticare il film per andare a rileggersi il libro e rivivere, magari con un pizzico di malinconia, o di curiosità, gli anni in cui non si poteva mancare la lettura del nuovo numero di Linus, o delle altre tante riviste satiriche e di fumetti che hanno esordito in quegli anni ’70, quando ancora giungeva l’eco e il senso dello slogan che chiedeva ‘l’immagination au pouvoir’.

Dario Arpaio


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