Be Kind, Rewind

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Il piacere dell’andare al cinema è più che soddisfatto, in questi giorni, da titoli come Gomorra o Il Divo, che ben si accompagnano ad altri di un certo interesse, per esempio Alexandra di Sokurov. Per chi lo amasse ancora, c’è poi la possibilità di una visita a uno stanco ma pur sempre affascinante dr Jones. Ma per colui il quale non ne sapesse ancora nulla, suggerisco una tappa diversa, una sosta per ridere e gustare i funambolismi di Jack Black in Be Kind, Rewind, italianamente detto Gli Acchiappafilms. La regia di Michel Gondry ci riporta (almeno in parte) gli sghiribizzi della bacchetta con la quale aveva magistralmente diretto l’osannato Se Mi Lasci Ti Cancello. La critica ufficiale si è sbizzarrita, sperticata in una nutrita sequela di aggettivi per definire Gondry: surreale, magnificamente demenziale, bizzarro, piacevolmente fracassone, buffo. Anche Be Kind, Rewind è tutto questo e (forse) altro ancora.

La vicenda ruota intorno alle peripezie per la sopravvivenza di una piccola videoteca del New Jersey, molto amata dagli abitanti del quartiere. Vita ordinaria fino a quando uno dei due commessi, Jack Black (nella foto a lato), dopo un tentato maldestro sabotaggio, smagnetizza, suo malgrado, tutti i VHS del negozietto. A questo punto però il dramma diventa commedia, farsa. I due commessi, l’altro è Mos Def, famoso musicista dell’hip hop, si ritrovano a ‘taroccare’ i VHS per soddisfare la rumororsa richiesta della clientela. I nostri arrivano a decidere di ‘rifare’ alcuni famosi film: Ghostbusters, Il Re Leone, Robocop, addirittura A Spasso con Daisy (e non dico chi interpreta il ruolo che valse l’Oscar a Jessica Tandy…). I remake fatti in casa sono esilaranti. Due tubi o un vecchio vestito e qualche cartone colorato si trasformano in tutta Hollywood, lasciandoci uscire dalla sala divertiti e con qualche possibile spunto di riflessione.

Personalmente amo quel fare cinema inteso come bottega dell’arte e non come arte del botteghino. Amo quell’artigianato capace di inventarsi e rinnovarsi a ogni nuovo passo. Così come nel film la piccola videoteca scalcinata arriva a trasformarsi in un punto d’incontro sociale dai risvolti inaspettati. In fondo, qualche volta, ci si può anche divertire opponendo creativamente allo strapotere del mezzo ipertecnologico un martello e una chiave inglese, magari pure picchiata sul dito. La sperimentazione hi-tech è d’obbligo ed è esaltante, ma mi riferisco a quella artisticamente autentica, non quella del produttore che vive nel botteghino e mistifica i suoi stessi atti sulla rete con astute operazioni di marketing acchiappa-acchiappa-più-pubblico.

Voglio citare invece, uno fra tanti, Peter Jackson con la sua grande trilogia del Signore degli Anelli. Lui sì che è andato molto vicino a realizzare un perfetto connubio tra sogno e realtà, tra magia dell’atto creativo e fatica di macchina, tra super effetti speciali costruiti al computer e scarpinate sui monti neozelandesi solo per cercare tronchi e tronchetti che avessero la forma voluta. Grande regia! Grande arte! Incontaminata! Che ci ha regalato diversamente e in forma certo più alta quanto anche il piccolo scherzo di Gondry ci vuol forse rammentare: in fondo il cinema siamo tutti noi e ridiamoci pure addosso, fintanto che ci sarà possibile farlo.

Dario Arpaio.


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