Control: anche in Italia la storia dei Joy Division

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ControlArriverà finalmente anche in Italia, il 25 ottobre, dopo uno stop di parecchi mesi, il film diretto da Anton Corbijn e riguardante l’ascesa e la caduta dei Joy Division con particolare riguardo, naturalmente, al loro leader Ian Curtis, suicida a soli 24 anni.
Più stile che sostanza e non privo di scelte davvero banali, Control rimane comunque un importante documentario su una certa epoca musicale. Di seguito vi proponiamo recensione.

CONTROL
Di Anton Corbijn, con Samantha Morton e Sam Riley

I Joy Division, per motivi d’età e di biografia, sono nel mio cuore, semplicemente LA band insostituibile e continueranno a esserlo per sempre. Dalle prime cose recuperate su musicassetta, ai demo dei Warsaw su su fino ai vari flexi e altre rarità, il tutto ovviamente acquistato di seguito anche su CD.

Premessa dovuta per spiegare quanto sia poi cocente la delusione per un filmetto dal quale mi aspettavo ben altro.

Corbijn brilla unicamente dove il mestiere gli permette di brillare, ovvero nella composizione di continui, splendidi, memorabili quadri monocromatici e immobili (ma, giustamente, chi si è mai immaginato i Joy Division colorati e in movimento?) che non riescono a renderci pienamente la grandezza di quel mito.

Perduti nei meandri della questionabile biografia della moglie di Curtis, regista e sceneggiatore perdono di vista sia l’atmosfera dei tempi (appena accennata in qualche inquadratura sparsa) sia la potenza delle canzoni, preferendo trincerarsi nella mera agiografia, compiendo il più grande degli errori possibili.

Sì perché, come molti grandi artisti, Ian Curtis era poi un uomo piccolo e meschinetto, insopportabilmente debole persino per il fan accanito.
Guardando la biopic di Corbijn ci rendiamo definitivamente conto di una cosa che non si vorrebbe mai realizzare: noi dark-new waver non eravamo altro che gli EMO di quei tempi e ci siamo scelti una serie di figure di riferimento imbarazzanti per pochezza umana.

Assistiamo quindi all’odissea (in senso joyceiano) di un grigio borghesuccio, schiacciato fra l’incapacità di reagire all’epilessia e la leggerezza che lo spinge a sposarsi giovanissimo e a rincarare la dose con una figlia.
Senza attributi, il nostro subisce sia la moglie che la musica, scappa a ogni svolta salvo poi tornare con la coda fra le gambe, quando le cose si complicano. Invece di risolvere i problemi in modo netto in una direzione qualsiasi preferisce complicare il tutto con altre scelte leggere, fingendo un amore per Annik Honoré, senza riuscire a vivere pienamente nemmeno quello.

Vero, il povero Ian non ha nemmeno tutte le colpe: l’epilessia è una brutta bestia e trovarsi a 19 sposato a un’amorfa in vestaglia non è il massimo della vita, ma nemmeno comporre tutto un film di questi patetici quadretti è una scelta popolare.
Specie se non si resiste a un uso manipolatore e ovvio della musica, Love Will Tears us Apart in primis, dio mio, ma ogni scelta e timing delle canzoni, in realtà.

Cosa rimane cui aggrapparci unghie e denti?
Facile. La fotografia, come detto. Ogni inquadratura potrebbe appartenere a un ideale servizio fotografico sulla band e sul leader.

E il buon casting, a partire dal protagonista. Ovviamente tutti upgradati e resi più bellini, come da abitudine nei film biografici: se mai si decideranno a filmare il fugace amore fra Leonard Cohen e Janis Joplin state pur tranquilli che nel Chelsea Hotel ficcheranno Brad Pitt e Angelina Jolie, come minimo.

Poi alcune canzoni, ovvio.
Impossibile resistere appena partono le prime note del basso e alcune scene di concerti e performance riscattano l’intero lungometraggio, dai casini a Derby fino agli attacchi di epilessia sul palco.

Forse poco.
Certamente poco se non siete fan della band. Sicuramente abbastanza se avete sempre amato i Joy Division.
Se siete comunque in cerca di qualche cosa di più interessante, meglio recuperare anche solo 24 Hour Party People di Michael Winterbottom, che affronta l’epoca in modo ben diverso e più interessante. E che ha il coraggio di dipingere Curtis e Joy Division per quel che erano.

2 commenti su “Control: anche in Italia la storia dei Joy Division”
  1. Sara ha detto:

    Ho 25 anni e chiaramente non è da molto che ho avuto il piacere di conoscere la musica dei Joy Division e comunque grazie al mio fidanzato che si intende di buona musica molto più di me…premesso questo, ho guardato il film dopo essermi un pò informata sulla loro vita, non avendoli conosciuti quando Ian Curtis viveva ancora non posso esprimere sicuramente un giudizio così pprofondito, ma io l’ho trovato molto molto bello!Per quanto il film possa essere concentrato sulla vita privata e non del cantante dobbiamo ringraziare che un film su di loro sia stato fatto!E’ anche grazie a questo che ho avuto la fortuna di potermi interessarmi a loro.
    Troppo dura come opinione…ma la rispetto se non si chiamerebbe più opinione, è vero il film potrà deludere (forse) i “vecchi” fans ma sono sicura che entrerà nei cuori di tutti quelli “nuovi” che scopriranno un gruppo fantastico come i Joy Division e sono sicura… saranno numerosi!

  2. Elvezio Sciallis ha detto:

    E io rispetto la tua, ci mancherebbe.

    Anzi, ti dirò che questo scontro fra “vecchi” e nuovi fan non ha motivo d’essere, spesso i giovani hanno più entusiasmo e magari studiano anche più approfonditamente la materia.

    Se puoi cerca anche di recuperare il film di Winterbottom, ti farà conoscere tutta l’evoluzione di un lungo periodo di musica inglese attraverso gli anni, dal punk alla new wave fino alla dance di Manchester…


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