Hugo Cabret, il sogno non finisce mai

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Il film Hugo Cabret è la prima volta di Martin Scorsese con il 3D, ed è subito corsa agli Oscar, con ben 11 nomination, tra le quali evidenziamo quelle meritatissime al nostro grande scenografo Dante Ferretti e all’immancabile apporto dei costumi della sua signora Francesca Lo Schiavo, già pluripremiati con la statuetta dorata.

Scorsese sceglie il 3D forse anche per estendere, con l’innovativa tecnica di ripresa, il suo personale affettuoso omaggio a Georges Méliès, il grande mago degli albori della settima arte, il quale fu capace di esaltare i sogni del pubblico con i marchingegni più arditi e spettacolari, letteralmente inventando il cinema come oggi è diventato.

I fratelli Lumière filmavano l’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat e il pubblico di fine Ottocento andava in delirio per quella brevissima intensa emozione, ma fu Méliès il vero inventore, il grande precursore della magia degli effetti speciali sullo schermo. Noi lo conosciamo poco, forse inconsapevolmente dimentichi del suo grande genio. Così ci pensa Scorsese a ricordarcelo, a raccontarcelo con devozione, prendendo spunto dal libro di Brian Selznick, parente di quel Selznick produttore di Via con Vento, tanto per restare nella storia del cinema.

Hugo Cabret è un ragazzino solo. Vive regolando i grandi orologi della stazione di Montparnasse, arrampicandosi, incuneandosi tra i grandi meccanismi, azionandoli, oliandoli a dovere. Nessuno lo vede. Neppure il terribile ispettore di polizia ferroviaria, nemico giurato dei vagabondi e degli orfani, dal quale Hugo deve spesso sfuggire. La vicenda, dai velati accenti dickensiani, è ambientata nella Parigi degli anni ’30 e grande merito va al lavoro di ricostruzione della coppia Ferretti-Lo Schiavo, davvero superlativa.

Hugo è il piccolo padrone del tempo degli orologi, ma rimane legato al suo passato, alla tragica morte del padre, del quale conserva il sogno di rimettere in funzione un automa dal meccanismo raffinato e misterioso. La vita di Hugo si arrotola e srotola tra il sogno, la fantasia e le grandi ruote dentate degli ingranaggi del tempo, ma è solo. Almeno fino a quando incontra la figlioccia di un acido e ombroso giocattolaio che se ne sta chiuso nel suo chioschetto angusto. Il destino unisce Hugo a quello che altri non è che Méliès, dimenticato da tutti.

La trama si infittisce di colpi di scena fino all’immancabile happy end, ma tutta la vicenda è pretesto per il grande atto di amore che Scorsese dedica, con garbo, al cinema, alle sue magie, ai suoi momenti di esaltazione, di abnegazione, senza trascurare la necessità di far cassetta, con quella che rimane l’unica industria capace di vendere i sogni e, a volte di realizzarli, pur facendo quattrini a palate.

Gli interpreti sono tutti degni di apprezzamento. In particolare il ragazzino, al quale dà il volto Asa Butterfield, già ammirato nel commovente Il ragazzo con il pigiama a righe. Che dire poi di sir Ben Kingsley nei difficili panni di Méliès. Sacha Baron Cohen è il buffo ispettore cattivo. A loro si affiancano altri grandi nomi, Christopher Lee, Jude Law, ma chi sarà capace di riconoscere Johnny Depp o in grado di individuare, tra i personaggi citati da Scorsese, un giovane Salvator Dalì o Django Reinhardt?

E’ la Parigi degli anni ’30, lo scrigno dove è rimasto celato un passato di meravigliosi fermenti. E forse solo per felici e fortuite coincidenze è la stessa scelta voluta da Woody Allen per ambientare l’ultimo suo film, uno dei migliori in assoluto, per raccontare la magia della mezzanotte. La stessa che Hugo contempla dagli oblò della stazione, dai quali la macchina da presa di Scorsese s’invola forse a incocciare nella luna di Méliès, quella acciaccata dal razzo sfacciatamente atterrato sul suo suolo, per stupirci, nel buio della sala dei sogni.

Dario Arpaio

3 commenti su “Hugo Cabret, il sogno non finisce mai”
  1. dilva ha detto:

    recensione Dario: condivisibile in quanto con la sua sensibilità, mi ha coinvolto nella poesia e nel sogno, proprio ciò che il film mi ha trasmesso e che io non avrei saputo descrivere in quanto “emozione”.
    Grande tributo a Meliers da me non conosciuto da parte di Scorsese e da chi come Dario ha saputo tradurre l’emozione che il film mi ha procurato.

  2. bruna ha detto:

    la recensione riporta e approfondisce il mio pensiero e le emozioni che il film sa risvegliare ma che io non avrei saputo esternare; bello, davvero bello.

  3. Dario ha detto:

    Grazie per i vostri commenti. Una riflessione mi viene spontanea: cosa mai saremmo se non potessimo ridere, sognare, emozionarci o magari vivere avventure impossibili? Quelle che solo il cinema sa dare. Forse Melies aveva ragione a nascondersi quando il suoi cinema fantastico era scivolato via dopo la catastrofe della prima guerra mondiale. Ma Scorsese é lí a ricordarci che, il sogno non finisce mai .
    Ciao!


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