The Look of Silence: l’efferatezza politica in contrasto con atmosfere rarefatte

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The Look of SilenceAll’ultima Mostra del cinema di Venezia ha meritatamente vinto il Gran premio della giuria, il documentario The Look of Silence diretto da Joshua Oppenheimer, che ci riporta al massacro di milioni di indonesiani (tra comunisti, minoranze etniche e oppositori politici) da parte della dittatura militare nel 1967. Persone che non furono uccise, ma macellate da feroci squadre della morte (gruppi para-militari) per ordine del generale Suharto. Il regista ha avuto la forza e la possibilità di intervistare gli assassini (sotto forma di interviste condotte da un giovane oculista nato dopo l’eccidio che in esso ha perso uno dei fratelli), che si vantano delle loro azioni perché la dittatura vinse e gli uccisori sono ancora protetti. Del genocidio indonesiano Oppenheimer aveva già parlato con lo scioccante documentario The Act of Killing scioccando pubblico e critica di tutto il mondo.

Inevitabile il confronto tra le due pellicole, che hanno prospettiva e struttura molto diverse tra loro: la prima esaminava maggiormente il rapporto esistente tra senso di colpa rimosso e rievocazione del ricordo mediante la finzione. La seconda tratta maggiormente del rapporto esistente tra responsabilità e rimozione del ricordo. Del resto, lo dice il titolo The Look of Silence: nel film contano soprattutto i silenzi tra gli interlocutori, chi fa domande e chi ha compiuto i misfatti. Il primo aspetta in silenzio un accenno di pentimento, i secondi restano muti. Mentre in The Act of Killing prevalgono furia e rabbia incredula, qui sembra prevalere la rassegnazione disperata. Infatti, non possono non colpire nel documentario le attenzioni riservate al paesaggio magnifico e alla foresta di palme, ai colori splendidi, ai fiori.


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